Un riflesso della società, senza denominatori comuni

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Servizio comunicazione istituzionale

11 Ottobre 2024

Si è recentemente svolta la conferenza “La mafia declinata al femminile”, organizzata dall’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata (O-TiCO). Sul tema sono intervenute Alessandra Cerreti (Pubblico Ministero Direzione Distrettuale Antimafia Milano), Ombretta Ingrascì (ricercatrice in Sociologia economica, Università degli Studi di Milano) e Alessia Truzzolillo (giornalista per LaC News24 e corrispondente Ansa). L’evento è stato introdotto da Annamaria Astrologo (Professoressa titolare presso l'Istituto di diritto dell'USI e responsabile accademica dell’O-TiCO) e moderato da Francesco Lepori (giornalista RSI e responsabile operativo dell’O-TiCO).

La mafia e le donne, come sottolineava il testo di lancio dell'evento, è un binomio che esiste da sempre, e di cui spesso si parla troppo poco. Molte donne sono rimaste vittime delle organizzazioni criminali. Così come molte donne, viceversa, hanno avuto un ruolo attivo a sostegno delle cosche. La conferenza “La mafia declinata al femminile” aveva come obiettivo quello di sensibilizzare su queste tematiche, cercando un possibile filo conduttore nel variegato mondo delle donne criminali e chiedendosi se il cambiamento - anche recente - del  ruolo della donna nella società valga anche per la criminalità organizzata.

L'evento si è aperto con la testimonianza del Pubblico Ministero Alessandra Cerreti, la quale ha fornito, oltre a degli spunti di riflessione, anche il racconto delle esperienze pratiche da lei vissute. “Ciò che accade all’interno delle organizzazioni mafiose non è avulso dalla società in cui operano. Bisogna partire dalla gestione del potere nella società civile per comprendere quella criminale. La realtà femminile nel mondo mafioso è talmente vasta che è difficile trovare un minimo comune denominatore. Per esempio, già solo strutturalmente le principali tre organizzazioni mafiose in Italia (Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta) differiscono, anche notevolmente. Per esempio la Camorra è nota per essere parecchio progressista, per cui è anche normale avere delle donne a capo. La ‘Ndrangheta, con la sua struttura famigliare che ne ha reso saldi i vincoli mafiosi, è invece parecchio maschilista, tant’è che fino al 2010 circa vi era la convinzione che le donne non potessero avere alcun ruolo all’interno della cosca se non come sorelle d’omertà, pertanto non vi erano nemmeno associate. Ciò non toglie che le donne siano comunque tenute sotto uno stretto controllo, ma vorrei sottolineare che tra un malavitoso maltrattante e un maschio/marito maltrattante o stalker non vi è alcuna differenza. La mafia è un riflesso della società e gli elementi culturali e mafiosi si mischiano”.

Passando dal piano pratico a quello teorico, la ricercatrice Ombretta Ingrascì ha presentato i tre modelli di agency femminile nella mafia da lei elaborati. Il primo di questi tre è il modello di agency conforme, che vede le donne “conformarsi a dei ruoli e dei compiti già prestabiliti, come per esempio quello di sposare il boss di un’altra cosca. Queste donne sono parte del sistema e vi si allineano, o in altri casi lo subiscono”. Il secondo modello è quello dell’agency complice, in questo caso “le donne hanno un ruolo attivo, sia nella sfera privata (come educatrici ai valori della mafia), sia nella sfera criminale, dove sono coinvolte in attività penalmente rilevanti (narcotraffico, estorsioni, ecc.). Vi sono inoltre molti casi di donne che assumono ruoli apicali, ottenendo il comando della cosca. In questo modello è possibile parlare di pseudo-emancipazione, in quanto queste donne sembrano ottenere la libertà nella cosca, ma di fatto non cambia quasi nulla”. Il vero processo di emancipazione avviene solo nel terzo modello, dove si parla di agency trasformativa, e riguarda “tutte le donne che diventano collaboratrici di giustizia o in qualche modo spezzano le catene mafiose. In questo modello il processo di emancipazione giunge a compimento, in quanto le donne ottengono un vero cambiamento per sé stesse e per chi le circonda. È la vera libertà dal sistema criminale”.

La giornalista Alessia Truzzolillo, dal canto suo, ha invece ripercorso alcune vicende accadute in Calabria, anche in tempi recenti, come il caso del boss Nicolino Grande Aracri, che nel fingere di voler collaborare con la giustizia fu invece scoperto nel tentativo di mitigare la posizione della moglie e della figlia, implicate nel procedimento Farmabusiness. “Per salvare moglie e figlia il boss le denigrò, dicendo ai magistrati: 'Mia moglie non è capace di fare una O con un bicchiere, figuriamoci di stilare un piano così elaborato come quello di entrare nella grande distribuzione dei farmaci'. Non è riuscito nel suo intento e le due donne sono state condannate per associazione mafiosa”. A questa vicenda se ne lega strettamente un’altra, in quanto in occasione della notizia di una presunta collaborazione tra il noto boss e la giustizia, si scatenò il caos nel mondo criminale. “E qui venne fuori la figura di un’altra donna, Veneranda Verni. In questo momento difficile Veneranda disse 'Vorrà dire che adesso apriamo un altro libro', e riuscì a mettere tutti d’accordo nel concentrare le proprie forze attorno alla sua famiglia”. Nel momento di assenza al potere di un uomo, a prendere effettivamente in mano le redini è stata dunque una donna, a dimostrazione di quanto nel mondo del crimine esse rappresentino un panorama variegato.

La mafia declinata al femminile

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